mercoledì 20 giugno 2018

GLI IMPERATORI ROMANI: OTTAVIANO AUGUSTO, IL PRINCEPS


Il 27 a.C. nasce ufficialmente il più esteso e potente impero della storia: l'Impero Romano. Il suo fondatore ha dato prova di grande astuzia e intelligenza, riuscendo a districarsi tra gli intrighi e le lotte politiche dell'Urbe senza aver alcuna esperienza politica ma con la sola determinazione e coraggio derivatagli sicuramente del prozio Giulio Cesare. Questo personaggio ha così assicurato alla più potente città dell'antichità la supremazia su tutto il mondo conosciuto; il suo nome è Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto.

Nacque nei pressi di Roma nel 63 a.C. col nome di Gaio Ottavio che ereditò dal padre. La madre si chiamava Azia ed era la nipote di Gaio Giulio Cesare. Quest'ultimo decise quindi di prendere sotto la propria custodia il giovane Ottaviano. Quando Cesare fu assassinato il 15 marzo del 44 a.C., Ottaviano stava aspettando il prozio per accompagnarlo in una spedizione punitiva contro i Parti. Quando fu poi aperto il testamento di Cesare si seppe che era stato adottato e nominato erede di tre quarti del suo patrimonio lo stesso Ottaviano il quale, una volta appreso ciò, si recò immediatamente a Roma. Una volta nella capitale, incontrò subito inimicizia da parte di Marco Antonio, fedele generale di Cesare che non aveva tollerato di essere stato escluso dal testamento. Nonostante questo Ottaviano capì subito che il potere di Roma era nelle mani del Senato e del popolo. Per questo egli decise immediatamente di distribuire l'ultimo quarto dell'eredità di Cesare al popolo secondo le volontà del padre adottivo. Inoltre riuscì ad attirarsi simpatie anche all'interno del Senato, a cominciare dallo stesso Cicerone che vedeva in lui il restauratore della Repubblica. Per questo egli riuscì a far nominare Marco Antonio nemico del popolo di Roma mentre questi era fuori dell'Urbe. Il generale cesariano decise dunque di porsi a capo delle legioni sotto il suo comando e di andare incontro ad Ottaviano. Questi fu inviato dal Senato contro Antonio, con il quale si scontrò a Modena nel 43 a.C. dove ne uscì vincitore a stento. In seguito a questa battaglia i due decisero di mettersi d'accordo per far fronte al nemico comune: i cesaricidi.
Per questo a Lucca essi formarono il secondo triumvirato insieme a Marco Emilio Lepido. A differenza del primo formato da Cesare, Pompeo e Crasso che era un'alleanza strettamente privata, questo triumvirato venne riconosciuto pubblicamente. La prima mossa dei triumviri fu la caccia ai cesaricidi. Gli ultimi due, Bruto e Cassio, si erano rifugiati in Grecia. Ma le legioni di Ottaviano e Marco Antonio li raggiunsero sulla piana di Filippi dove i due uccisori di Cesare avevano eretto due accampamenti fortificati e con sbocchi al mare per gli approvvigionamenti. Nonostante la posizione sfavorevole, Marco Antonio, senza l'ausilio di Ottaviano che si era gravemente ammalato, riuscì a penetrare le difese. I due cesaricidi decisero così di suicidarsi. Una volta tornati a Roma, il merito della vittoria ricadde su Marco Antonio anche se Ottaviano cercò di mitigare il risultato con un abile propaganda. Dopo la battaglia di Filippi, i tre triumviri si ritrovarono padroni assoluti del mondo e si divisero le zone d'influenza: a Lepido toccò l'Africa, ad Antonio l'Oriente e ad Ottaviano l'Occidente. Già da subito Ottaviano dovette affrontare una crisi. Infatti il grano tardava ad arrivare a Roma a causa delle azioni di pirateria ad opera di Sesto Pompeo, figlio di Pompeo Magno e governatore della Sicilia. Dopo lunghi anni ad affrontare questo flagello senza risultati, l'amico di Ottaviano, Marco Vipsanio Agrippa, sconfisse la flotta di Sesto Pompeo lungo la costa siciliana nel 36 a.C. grazie ad una invenzione innovativa dello stesso Agrippa: l'harpax. Quest'arma era una specie di arpione che lanciato su una nave nemica si agganciava ad essa permettendo alla nave che aveva lanciato di affiancarla cosicché i soldati a bordo potevano sfruttare la loro superiore abilità nello scontro corpo a corpo. Nel frattempo Marco Antonio fu ospitato alla corte di Cleopatra VII della quale si innamorò. Cominciò anche a progettare una spedizione in Partia che però non ebbe successo. Ma a causa delle insinuazioni che Ottaviano diffondeva tra i senatori in merito alla sua relazione con la regina d'Egitto, Antonio fu costretto a tornare a Roma dove però dovette unirsi in matrimonio alla sorella di Ottaviano, Ottavia, per rafforzare il legame tra i due triumviri. Recatosi ad Atene con la nuova moglie la ripudiò dopo qualche anno per poter ritornare da Cleopatra. Quest'atto rappresentò per Ottaviano una grande opportunità per appellarsi al Senato contro Antonio. Ma astutamente egli non disse di voler muovere guerra al generale perché sarebbe stata vista come un'altra guerra civile; disse invece di voler attaccare Cleopatra, regina d'Egitto, accusata di aver corrotto Marco Antonio.
Così partì dall'Italia e arrivò nel golfo di Azio dove Antonio lo aspettava pronto alla guerra. Ma il fato non era dalla parte dei due amanti e la battaglia fu vinta da Agrippa, che era l'ammiraglio della flotta di Ottaviano, nel 31 a.C. Antonio e Cleopatra riuscirono però a scappare con una parte della flotta e con il tesoro contenuto da una nave. Rifugiatisi in Egitto, si suicidarono una volta che Ottaviano sbarcò nella terra dei Faraoni. L'erede di Cesare fece inoltre uccidere Cesarione che si pensava fosse figlio di Cleopatra e di Cesare. Tornato a Roma, relegò Lepido alla carica di Pontefice Massimo. Divenne così l'unico padrone del mondo. Ma non si dichiarò tale pubblicamente, memore del destino riservato a Cesare. Finse quindi di tenere in alta considerazione il Senato facendosi a poco a poco assegnare tutte le cariche fino a quando nel 27 a.C. per volere del Senato gli fu concesso il titolo di Augusto. Da questo momento in poi si parla di Impero Romano. Ma egli si fece esclusivamente chiamare princeps ovvero primo tra tutti. Egli si adoperò maggiormente nel rendere sicuri i territori già in possesso dell'Impero eccetto la Germania che fu oggetto di continue guerre. Innanzitutto Ottaviano stipulò un trattato di pace con i Parti facendosi restituire le insegne delle legioni di Crasso, che nel 53 a.C. aveva subito una grave sconfitta, e tutti i prigionieri romani. Questo secolo fu quindi chiamato della Pax Romana. Ma nel 9 d.C. un avvenimento scosse questa pace durevole. Tre legioni comandate da Publio Quintilio Varo furono completamente annientate in un imboscata ad opera di un generale romano di origini barbare, Arminio. Si dice che dopo che Ottaviano apprese la sconcertante notizia, cominciò a vagare di notte per le sale del palazzo urlando: "Varo, rendimi le mie legioni". Passò comunque poco tempo prima che il princeps mandasse un'azione punitiva contro i germani capeggiata da Germanico che prese il proprio nome dalla gloria acquisita in quella provincia. Comunque sia, egli non riuscì a piegare definitivamente l'orgoglio germanico e quel territorio rimase non pacificato. A Roma Ottaviano creò un nuovo corpo militare di stanza nei dintorni della città: la Guardia Pretoriana, formata da nove coorti di cinquecento soldati l'una comandate da un prefetto del pretorio. Egli promosse inoltre la costruzione di nuove opere pubbliche quali l'Ara Pacis e il Pantheon, tanto che ci fu chi disse che "trovò una città di mattoni e ne lasciò una di marmo". Ma purtroppo si ritrovò senza eredi diretti. Infatti i suoi due favoriti, figli dell'amico Agrippa e della figlia Giulia, morirono e Ottaviano fu costretto a nominare suo successore Tiberio, il figliastro della moglie Livia Drusilla, non avendo avuto da lei nessun figlio proprio. Verso gli ultimi anni d'età, si trasferì a Nola dove morì nel 14 d.C. Svetonio racconta che sul letto di morte circondato dai parenti e dagli amici intimi egli disse:"Bene, se lo spettacolo vi è piaciuto applaudite". Così se ne andò uno tra i migliori uomini della storia. Così se ne andò il primo Imperatore di Roma.                                                                                                      

sabato 5 maggio 2018

LE CUPOLE DEL RINASCIMENTO: BRUNELLESCHI E MICHELANGELO



Già nell'età romana la cupola era un elemento architettonico molto usato; un esempio è sicuramente il Pantheon con la sua enorme copertura anticamente rivestita d'oro. Ma è con l'affermarsi del Cristianesimo che la cupola diventa un elemento architettonico indispensabile per basiliche e cattedrali. Soprattutto, è durante il Rinascimento che la cupola come elemento architettonico raggiunge l'apice della perfezione grazie a due dei più grandi architetti e artisti di tutti i tempi: Filippo Brunelleschi e Michelangelo Buonarroti. Il primo edificò la sua cupola a Firenze, il secondo a Roma.

La cupola di Brunelleschi

La cupola di Filippo Brunelleschi è stata la prima delle due cupole ad essere realizzata. Essa fu costruita sopra l'abside della Basilica di Santa Maria del Fiore, il Duomo di Firenze. La cattedrale fu costruita su progetto di Arnolfo di Cambio ma i lavori di costruzione si interruppero per un periodo. Dopo qualche anno fu costruito il tamburo ottagonale della cupola ma nessuno riusciva a ovviare ai problemi di costruzione che l'innalzamento di quest'ultima comportava. Per questo fu indetto un concorso per assegnare la costruzione dell'opera ad un architetto. Il vincitore fu Filippo Brunelleschi che propose una soluzione innovativa eppure semplice: costruire impalcature aeree. Infatti il grande problema dell'innalzamento della cupola era la costruzione delle impalcature che venivano a trovarsi ad una posizione troppo elevata per reggere gli operai: il risultato sarebbe stato il crollo delle strutture. La soluzione di Brunelleschi prevedeva la costruzione delle impalcature contemporaneamente all'innalzamento della cupola facendo si che le strutture lignee si auto-sostenessero. Inoltre la struttura della cupola andava alleggerita sempre a causa dell'elevata altezza: per ovviare a questo problema l'architetto costruì due calotte (una interna, l'altra esterna) separate tra di loro da un intercapedine attraversato da una rampa di scale che permette di accedere alla lanterna. Contemporaneamente fece si che lo spessore della calotta esterna diminuisse all'aumentare dell'altezza così da alleggerire ulteriormente la cupola. Brunelleschi si mise subito all'opera in prima persona controllando passo passo il lavoro degli operai e passando giornate intere nel cantiere. Quel che venne fuori fu una delle maggiori meraviglie architettoniche del mondo. La cupola poggia su di un tamburo ottagonale che presenta un obolo (apertura di forma circolare) per ogni lato e che è stato costruito con marmi bicromi: il marmo bianco di Carrara e il marmo verde di Prato. Dal tamburo si innalzano otto spicchi separati tra di loro da otto costoloni che accentuano la propria inclinazione man mano che si sale fino ad incontrarsi nella lanterna. La genialità di Brunelleschi sta anche nell'accostamento del bianco dei costoloni con il rosso delle tegole che ricoprono gli spicchi della cupola. I costoloni sembrano così trattenere l'espansione della cupola che sembra quasi bloccarsi solo in corrispondenza della lanterna anch'essa bianca. La calotta interna è stata successivamente dipinta da Giorgio Vasari e da Federico Zuccari.

La cupola di Michelangelo
La cupola di Michelangelo Buonarroti fu costruita come copertura dell'abside della Basilica di San Pietro a Roma. La chiesa fu interessata da continui cambiamenti progettuali di cui gli unici resti concreti erano quattro pilastri costruiti secondo il progetto di Bramante che scelse di realizzare l'edificio a pianta greca. Quando fu chiesto a Michelangelo di occuparsi del progetto della Basilica, il cantiere era sotto la direzione di Antonio da Sangallo. Così, all'età di 71 anni, Buonarroti prese le redini del cantiere e propose un progetto che riprendeva per certi aspetti quello di Bramante. Michelangelo riprese la pianta a croce greca sfruttando i quattro contrafforti già costruiti e aggiungendone altri come sostegno per il pezzo forte del progetto: una magnifica cupola. Egli prese come modello la recente cupola di Brunelleschi a Firenze. Lo si può vedere nella bipartizione della struttura in due cupole separate: quella esterna sorretta da una cupola interna che ha un'importante funzione portante. Ma Michelangelo apportò anche delle modifiche al progetto brunelleschiano. Il tamburo è infatti circolare e scandito da una serie di colonnine binate che creano con la superficie liscia del resto della struttura un particolare effetto di chiaroscuro. Il tamburo acquista così monumentalità sia per le colonne sia per l'effetto visivo. In corrispondenza delle colonnine binate si innalzano i costoloni, questa volta dodici,
come gli spicchi della cupola. Questi si intersecano alla base della lanterna realizzata dopo la morte di Michelangelo. Il colore della copertura della cupola è di un azzurro chiaro che sembra confondersi col cielo. Tutta la struttura per la sua maestosità e allo stesso tempo leggerezza riprende lo stesso effetto illusionistico di espansione della cupola fiorentina. La cupola interna è completamente ricoperta da decorazioni musive.

Le due cupole rappresentano due capisaldi dell'architettura di tutti i tempi perché si allontanano dal modello romano del Pantheon introducendo una nuova forma ogivale. Esse sono inoltre due simboli di potere: la cupola di Firenze è metafora del potere e della ricchezza dei Medici, la cupola di Roma è invece il simbolo del papato e di tutta la Cristianità.

martedì 20 marzo 2018

LA RINASCITA DELL'ARTE: "DAVID" DI MICHELANGELO BUONARROTI


Michelangelo Buonarroti è forse l'artista più emblematico del Rinascimento grazie all'armonia delle sue opere. Egli riesce infatti a fondere i canoni classici con i personaggi cristiani dando vita a veri e propri capolavori che rasentano la perfezione. Un esempio è il David.

La vicenda
Narra la Bibbia che un giorno un ragazzo di nome Davide si ritrovò a combattere contro un soldato filisteo di nome Golia. Quest'ultimo era un uomo molto grande e muscoloso e molto temuto. Davide ebbe l'ardire di sfidarlo: dapprima con la fionda lanciò una pietra che colpì il gigante in fronte, una volta stordito sfilò la spada di Golia dal fodero e gli tagliò la testa. Da allora Davide divenne re d'Israele.

La scultura

La scultura è alta più di 5 m con tutto il basamento. Essa è stata David di Michelangelo non è un ragazzo ma un uomo che fa mostra di un corpo estremamente muscoloso. La gamba sinistra è leggermente piegata in avanti mentre tutto il peso del corpo grava sulla gamba destra. La mano destra stringe con forza la pietra che Davide deve scagliare mentre l'altra sistema la fionda sulla spalla sinistra. La testa è girata verso sinistra: questa posizione del capo accentua la contrazione dei muscoli del collo. Inoltre è assolutamente realistica la resa delle venature che sono meglio osservabili nella mano destra che stringe la pietra dove le contrazioni delle dita fanno si che le vene siano sporgenti.
scolpita in un unico blocco enorme di marmo che però non era stato scelto da Michelangelo, che era solito andare egli stesso nelle cave per selezionare personalmente il marmo secondo lui adatto. Questa volta il committente, l'Arte della lana, lo ingaggio dandogli però un blocco già sbozzato da altri scultori. Così Michelangelo fu costretto ad adattarsi alla forma e alle dimensioni del blocco, di certo non senza difficoltà. Ma alla fine riuscì a concepire una scultura straordinariamente perfetta. Il

Simbologia e gesti
Tutta la scultura è un inno a Firenze: infatti il David doveva in origine essere esposto davanti a Palazzo Vecchio in Piazza della Signoria. Successivamente fu collocata nella Galleria dell'Accademia per proteggerla dalle intemperie. Il David è una perfetta rappresentazione di forza e ira: la scultura doveva infatti essere un monito per tutte le altre città di modo che esse sapessero che se Firenze fosse stata attaccata, avrebbe risposto senza indugio e pietà per i nemici. La scultura sembra infatti essere sul punto di esplodere per l'energia a stento trattenuta dalla figura del David a simboleggiare la prontezza di Firenze a rispondere ad un attacco. Inoltre il David scolpito da Michelangelo non è il solito Davide vittorioso che regge con una mano la testa mozzata di Golia bensì un ragazzo determinato che si sta preparando al lancio della pietra guardando il suo avversario dritto negli occhi. Il suo sguardo mostra sicurezza e allo stesso tempo meditazione su ciò che ha intenzione di fare: questo atteggiamento del David esalta l'importanza del pensiero e della mente, una delle più grandi qualità umane. Allo stesso tempo Michelangelo esalta anche l'azione, infatti il David stringe con forza la pietra con la mano sinistra. Per enfatizzare ancora di più queste due qualità principali dell'essere umano (il pensiero e l'azione), Michelangelo scolpisce di proposito la mano che stringe la pietra e la testa del David sproporzionatamente grandi rispetto al resto del corpo.

Il David è sicuramente una delle opere meglio riuscite di Michelangelo Buonarroti in quanto a realismo, innovazione e simbologia e gestualità. Essa è inoltre la prova del fatto che la grandezza di Michelangelo stava anche nel sapersi adattare ed esprimersi secondo uno stile nuovo e per i contemporanei osceno a causa della nudità dei soggetti. Ma questo modo di rappresentare il corpo umano era per Michelangelo il solo modo di esaltare la perfezione dell'unico essere vivente creato a immagine e somiglianza di Dio: l'uomo.

lunedì 5 marzo 2018

LA RINASCITA DELL'ARTE: "ANNUNCIAZIONE" DI LEONARDO DA VINCI


Predecessore di Raffaello Sanzio e contemporaneo di Michelangelo Buonarroti, Leonardo da Vinci è il primo artista a dipingere con rigore scientifico. Egli infatti non era solo un artista ma anche ingegnere, architetto, scienziato, anatomista: un vero e proprio amante del sapere. Ed è per questo che egli dipinse sempre con il rigore e la precisione tipica di uno scienziato, soprattutto nella resa del paesaggio. La sua opera più famosa è sicuramente la Gioconda che rappresenta l'ideale di perfezione sia dell'essere umano che del paesaggio. Ma questa tela è il risultato dell'esperienza acquisita dall'artista in una vita intera spesa, tra le altre cose, a dipingere. Si può infatti notare che nelle sue opere giovanili vi sono dei particolari che ne rivelano l'inesperienza, come nell'Annunciazione.

L'avvenimento storico
L'opera ritrae il famoso avvenimento dell'annunciazione da parte dell'Arcangelo Gabriele a Maria che avrebbe avuto un figlio. Il bambino non sarebbe stato un neonato normale ma il figlio di Dio. Il suo nome sarebbe dovuto essere Gesù. Dopo un primo attimo di esitazione dovuto all'improvvisa apparizione dell'Angelo, Maria, accetta la responsabilità affidatagli da Dio.

La scena
La scena rappresentata da Leonardo è ambientata all'aperto, sul terrazzo della casa di Maria. Si può osservare a sinistra l'Arcangelo Gabriele in ginocchio che alza il braccio destro per benedire e per rassicurare la Vergine Maria che è ritratta seduta sulla destra. La donna sta guardando l'Arcangelo ma l'unico segno di turbamento sta nella mano sinistra che è alzata. Maria è stata interrotta mentre leggeva un libro poggiato su un leggio decorato con volute. Sullo sfondo è possibile osservare un paesaggio naturale. Spiccano infatti gli alberi e lontanissime montagne.

Lo stile
Le due figure sono molto realistiche. La posa ardita dell'Angelo che appoggia il gomito sinistro sul ginocchio piegato mentre alza l'altro braccio, tradisce la grande bravura di Leonardo. Lo stesso si può dire della Vergine che è seduta, leggermente girata, mentre la sua mano destra è rimasta bloccata nell'atto di girare la pagina del libro. Bisogna anche osservare le vesti dei due personaggi: entrambi vestono abiti caratterizzati da numerose pieghe che rendono particolarmente realistiche le figure. Esse sono immerse in un paesaggio naturale sin dal primo piano. I personaggi poggiano, infatti, i piedi su un delicato tappeto di fiori. In secondo piano vi sono invece numerosi alberi incredibilmente realistici, soprattutto nella forma delle chiome che tradisce un attento studio sulla flora da parte di Leonardo. Sullo sfondo invece sono rappresentate alcune montagne. Queste sono rappresentate secondo una tecnica inventata e inaugurata da Leonardo stesso: la prospettiva aerea.
Questa tecnica rendeva la rappresentazione dello sfondo altamente realistica: infatti secondo Leonardo l'aria aveva uno spessore e per questo nella realtà i soggetti in lontananza si vedono più chiari rispetto ai veri colori; quindi l'artista utilizza colori chiari per rappresentare i soggetti sullo sfondo. La rappresentazione dei soggetti lontani è resa ancora più realistica grazie all'uso della tecnica dello sfumato, che annullava i contorni dei soggetti fondendoli con il paesaggio circostante alle figure. Osservando bene le montagne sullo sfondo è possibile osservare che esse non hanno contorni netti e sembrano essere un tutt'uno con il paesaggio circostante. Anche l'Angelo e Maria non hanno contorni netti sempre per la tecnica dello sfumato di Leonardo. Un altro interessante particolare è il leggio su cui poggia il libro di Maria. Esso infatti tradisce lo stile di Andrea del Verrocchio dalla quale bottega Leonardo proveniva, ma non solo.Infatti è un chiaro richiamo classico, il che identifica l'opera come rinascimentale.

Un piccolo errore
Nonostante l'opera sembra essere perfetta nelle forme dei corpi, nella rappresentazione del paesaggio e dello sfondo è stato commesso un errore. Infatti è emerso da uno studio a raggi X che Leonardo ha sbagliato qualcosa sulle proporzioni della Vergine Maria, che però non è percepibile ad occhio nudo: il braccio sinistro della donna è smisuratamente lungo. Probabilmente questo errore è dovuto alla poca esperienza dell'artista che sta affrontando la sua prima esperienza artistica.

L'Annunciazione è tra le prime opere di Leonardo ma, nonostante qualche piccolo errore, manifesta la straordinaria bravura di un genio del Rinascimento che, insieme ad altri artisti, cambia per sempre la storia dell'arte.

sabato 27 gennaio 2018

LA RINASCITA DELL'ARTE: "STANZE VATICANE" DI RAFFAELLO SANZIO


Tra gli artisti più importanti del Rinascimento ve ne fu uno che riuscì a prendere spunto da tutti gli artisti di questo periodo (Piero della Francesca, Bramante, Michelangelo, Leonardo) fondendo nelle proprie opere le tecniche dei suoi predecessori e contemporanei ma con uno stile originale e innovativo, caratterizzato da contorni morbidi e movimenti fluidi. Quest'artista è Raffaello Sanzio.

La commissione


Autoritratto di Raffaello Sanzio
La decorazione delle 4 Stanze Vaticane fu affidata a Raffaello Sanzio da Papa Giulio II il quale volle che l'artista lavorasse da solo all'opera. Questo lavoro fu completato durante il pontificato del successore Papa Leone X. Lo stesso Raffaello morì prima di completare l'opera che fu continuata e completata dai suoi allievi.

Le Stanze Vaticane
Il ciclo pittorico si sviluppa sulle pareti di 4 sale degli Appartamenti papali e sono: la Stanza della Segnatura, la Stanza di Eliodoro, la Stanza dell'Incendio di Borgo, la Stanza di Costantino (che fu solo progettata da Raffaello ma realizzata da Giulio Romano).
La Stanza della Segnatura è forse la Stanza Vaticana più famosa e comprende due lunette dipinte: La disputa del Santissimo Sacramento e La Scuola di Atene.

Disputa del Santissimo Sacramento
La Disputa del Santissimo Sacramento vuole ricordare il sacrificio di Gesù. E questo evento è rappresentato dal calice dell'Eucaristia. La scena si sviluppa su tre livelli ad emiciclo: sul livello più basso vi è rappresentato, appunto, il calice eucaristico su un altare posto centralmente. Attorno ad esso si dispongono, invece, personalità legate alla Teologia ma anche personaggi famosi tra cui lo stesso Dante Alighieri, nascosto tra le figure a destra dell'altare. Lungo il livello medio sono schierati gli apostoli e i santi che circondano le tre figure centrali: la Madonna, Giovanni Battista e Gesù Cristo. Quest'ultimo è seduto su di un trono con uno schienale circolare ed è affiancato dalle altre due figure. Al livello più alto è rappresentato Dio affiancato da due schiere di angeli ed è illuminato da lunghi raggi di luce. A livello simbolico la composizione è un'esaltazione del Sacramento dell'Eucaristia e della Trinità. Infatti Dio, Cristo, lo Spirito Santo (rappresentato come una colomba bianca) e il calice eucaristico si trovano lungo la stessa linea ad indicarne l'importanza; inoltre il punto di fuga della prospettiva è proprio il calice per accentuare ancora una volta il valore del Sacramento dell'Eucaristia. Si può inoltre notare come in tutta la composizione si ripete il motivo delle forme circolari: nei raggi di luce in alto, nello schienale del trono su cui siede Gesù, nel cerchio dentro cui è rappresentata la colomba dello Spirito Santo, nella disposizione dei personaggi, negli emicicli dei livelli e nella stessa lunetta su cui è rappresentata la scena. Il significato di queste forme circolari è da cercare probabilmente nella filosofia neoplatonica secondo la quale il cerchio rappresentava il cielo quindi la perfezione che, in chiave cristiana, riporta al regno di Dio.

Scuola di Atene
La Scuola di Atene raffigura invece personaggi pagani. Infatti su di una scalinata di tre gradini sono rappresentati tutti i maggiori filosofi della classicità. Le figure centrali sul gradino più alto sono Platone e Aristotele. Poi è possibile notare Socrate sulla sinistra con un abito verde che incita un gruppo di persone al dialogo, Epicuro posto davanti ad un leggio sempre sul lato sinistro in veste di Bacco, Pitagora intento a scrivere su di un libro, Eraclito che scrive su di un foglio con un gomito appoggiato su di un blocco di marmo, Euclide sulla destra che traccia un segno con un compasso su di una lavagna stesa sul pavimento, Diogene disteso lungo la scalinata, Alessandro Magno che indossa un'armatura dorata e Ipazia che rivolge il suo sguardo direttamente allo spettatore e porta un vestito rosa. Ma ci sono due elementi estranei al mondo della filosofia: lo stesso Raffaello ed il suo amico Sodoma, il primo che rivolge lo sguardo all'osservatore, il secondo, con un cappello, che intrattiene una conversazione con un paio di filosofi. Tutta la scena è inserita sotto ad un imponente edificio che ricorda i quattro pilastri bramanteschi della Basilica di San Pietro a Roma.
Platone e Aristotele
A livello simbolico l'edificio che fa da sfondo ai filosofi rappresenta il Tempio del Sapere come testimonia anche la scultura posta dentro una nicchia sul lato destro della facciata dell'edificio che rappresenta Atena, la dea della saggezza e, appunto, della sapienza. Il punto di fuga delle prospettiva si trova tra i due maggiori filosofi: Platone e Aristotele hanno entrambi cercato la verità ma per vie differenti. Infatti Platone volge l'indice della mano destra verso il cielo ad indicare il mondo delle idee che egli credeva essere l'unica verità, mentre Aristotele rivolge il palmo della sua mano destra verso terra ad indicare che l'unica realtà secondo il filosofo è il mondo sensibile. Si possono inoltre notare di riferimenti espliciti ad alcuni artisti contemporanei di Raffaello. Infatti Eraclito ha il volto di Michelangelo, Euclide è rappresentato invece con le sembianze di Bramante e lo stesso Platone è stato dipinto con il volto di Leonardo. Questa caratteristica è forse data dal fatto che egli ammirava i suoi contemporanei ed esperti colleghi tanto da raffigurarli tra i più grandi filosofi di tutti i tempi.

La Stanza di Eliodoro comprende due lunette dipinte: La Cacciata di Eliodoro dal Tempio e La Liberazione di San Pietro dal Carcere.

Cacciata di Eliodoro dal Tempio
La Cacciata di Eliodoro dal Tempio rappresenta la scena biblica secondo cui il ministro Eliodoro, per conto del suo re, tento di rubare i soldi destinati alle vedove e agli orfani conservati all'interno del Tempio di Gerusalemme. L'interno del Tempio è molto simile a quello della Scuola di Atene ma è scandito da una serie di cupolette dorate. In primo piano troviamo a destra Eliodoro che, riverso sul pavimento, viene aggredito da un cavaliere celeste e da alcuni angeli armati. A sinistra vi è invece la schiera degli orfani e delle vedove mentre all'estrema sinistra è rappresentato il Papa Giulio II seduto su una portantina sorretta da alcuni uomini tra cui lo stesso Raffaello. Sullo sfondo vi è invece un sacerdote che rivolge lo sguardo al cielo implorando aiuto. A livello stilistico è possibile notare dei cambiamenti rispetto alle lunette della Stanza della Segnatura. Infatti i toni dei colori sono più scuri tanto che è possibile notare che l'artista si avvalse della tecnica del chiaroscuro. Vi è anche un notevole contrasto tra il lato sinistro che risulta più buio e il lato destro che è invece illuminato da una forte luce. Anche le cupole dorate lungo la navata centrale sono investite dalla luce come mostrano i riflessi sul metallo egregiamente rappresentati. I personaggi sono inoltre più dinamici rispetto a quelli delle lunette precedenti dando così grande importanza all'azione. Questa lunetta simboleggia il potere della Chiesa sempre protetta da Dio e per questo inarrestabile.

Liberazione di San Pietro dal Carcere
La Liberazione di San Pietro dal Carcere rappresenta il momento in cui San Pietro viene liberato,
grazie all'aiuto dell'angelo, dalla prigione dei Romani. Si può dividere la rappresentazione in tre scene diverse: al centro San Pietro viene liberato dall'angelo, a destra viene aiutato a uscire dalla prigione, a sinistra un soldato con una fiaccola esorta i propri compagni a inseguire il santo. A livello stilistico la scena è immersa nel buio e per questo risaltano le fonti d'illuminazione: l'angelo che è circondato da un'aurea di luce, la torcia che un soldato sulla scena di sinistra tiene in mano, dalla mezzaluna che spunta appena nel cielo, avvolta da soffici nuvole. Ma vi è anche la luce naturale reale che esce dalla finestra posta sotto la lunetta.

La Stanza dell'Incendio di Borgo presenta una lunetta di particolare importanza: l'Incendio di Borgo.

Incendio di Borgo
L'Incendio di Borgo rappresenta un tragico evento avvenuto a Borgo durante il papato di Leone IV: un incendio. Fortunatamente il Papa riuscì a spegnerlo in fretta ma non poté evitare che il quartiere subisse danni. La scena è di una tragicità incredibile: le figure si riversano per strada allarmate e come impazzite sullo sfondo della Basilica Paleocristiana di San Pietro della quale si intravede il loggiato. In secondo piano sono invece rappresentati i resti in fiamme di alcuni Templi Romani.
A livello stilistico l'artista è riuscito a dinamizzare le figure ricreando così la tragicità e il caos dell'evento: le persone fanno di tutto per salvarsi, anche scendere dai piani alti degli edifici come si può vedere in secondo piano. In primo piano troviamo invece tre figure particolari: un uomo con in spalla un vecchio e accanto un bambino. Questo è sicuramente un riferimento ad Enea, suo padre Anchise e il figlio Ascanio. Questo riferimento insieme ai templi in rovina è un chiaro richiamo alla classicità tipica del Rinascimento.


ANTONELLO DA MESSINA, L'ANNUNCIAZIONE


Antonello da Messina fu uno dei più importanti e originali artisti di tutto il Rinascimento. Egli infatti fu il primo ad utilizzare nei propri dipinti la tecnica ad olio grazie alla quale i colori assumono una maggiore lucentezza. Fu anch'egli colui che invento la pittura su tela che permetteva all'artista di poter portare sempre con sé le proprie opere.

L'ANNUNCIAZIONE
La scena
La tela ritrae il momento in cui l'Angelo annuncia a Maria che da lei sarebbe nato il figlio di Dio che il cui nome sarebbe stato Gesù. Ma l'artista immortala il momento secondo una visione del tutto innovativa. Infatti nella tela non vi è alcuna presenza concreta dell'Angelo ma la si può intuire solo da una leggera luce all'angolo basso della tela. L'unica figura presente nella scena è la Vergine Maria che si trova dietro un leggio avvolta da un manto azzurro. La sua espressione è sorpresa e spinge una mano leggermente avanti come per proteggersi.

Lo stile

Quest'opera è un chiaro esempio della bravura e delle straordinarie capacità pittoriche di Antonello da Messina. Lo si può notare nella resa del volto, un volto delicato la cui espressione tradisce, in maniera composta, la sorpresa dovuta all'apparizione improvvisa dell'Angelo. Ma è tutta la composizione ad essere innovativa: è infatti il movimento delle pagine del libro posto sul leggio davanti a Maria che fa capire che vi è movimento nella scena. Ma la stessa luce è orchestrata egregiamente da Antonello da Messina: infatti l'unica fonte d'illuminazione della scena sembra venire dall'esterno della tela e illumina la figura di Maria di un aurea Santa e benefica.

Questa tela è il simbolo del cambiamento che l'arte stava subendo durante il Rinascimento, una corrente artistica che forgiò molti artisti di innata bravura e fantasia come Brunelleschi e lo stesso Antonello da Messina.

sabato 20 gennaio 2018

ARTE E MITO: IL LAOCOONTE


Il Mito
Nel II libro dell'Eneide, Virgilio narra della caduta di Troia ad opera degli Achei. Egli racconta che quando i Troiani si svegliarono ed uscirono dalle proprie case, dieci anni dopo lo sbarco dei Greci sulla costa asiatica, trovarono un cavallo di legno sulla spiaggia e nessuna traccia delle navi greche. Sul momento i Troiani considerarono il cavallo un dono divino alla città. In questo punto della narrazione emerge una figura fino ad allora nascosta: Laocoonte. Egli era sacerdote del dio Poseidone e fu l'unico a capire che il cavallo era solo un'astuto inganno ordito dai Greci. Cercò infatti di convincere il proprio popolo a bruciare il cavallo, sicuro che al suo interno si nascondessero alcuni soldati Achei, e trafisse il ventre del cavallo con una lancia. Ma una divinità ostile alla città di Troia, forse Atena, lo fermò: fece emergere dal mare due grossi serpenti marini che aggredirono i suoi due figli. Nel tentativo di salvare i due giovani fu anch'egli avvinghiato dalle mortali spire dei due serpenti. Dopo che i tre Troiani morirono, i due mostri salirono su per l'acropoli della città, fino a fermarsi ai piedi della statua che ritraeva la divinità che li aveva mandati. Questo evento fu interpretato dai Troiani come segno degli dei e fecero entrare il cavallo all'interno delle mura cittadine, provocando così la successiva caduta di Troia.

La scultura

Il Gruppo del Laocoonte è opera di tre grandi artisti originari di Rodi. La scultura è risalente al periodo ellenistico e ritrae la tragica scena di Laocoonte e dei suoi figli avvolti dall'abbraccio mortale dei serpenti. Il giovane a sinistra è già morto, il suo corpo ormai esanime è sorretto dalle spire dei mostri; il figlio a destra è invece ancora vivo e cerca di liberarsi dalla salda presa dei serpenti con le poche forze rimastegli mentre volge uno sguardo disperato al padre, ritratto al centro della scena nell'attimo in cui uno dei serpenti lo morde allo stomaco, mentre cerca di allontanare il mostro con un energico movimento del braccio destro. Il suo volto è stravolto da un'espressione di grande dolore.
La scena è eccezionalmente realistica, sia nei movimenti sia nella rappresentazione dei volti e del corpo. Lo possiamo notare nella rappresentazione del figlio ormai morto la cui posizione è innaturale, tipica di un corpo ormai privo di vita. Anche il secondo figlio è incredibilmente realistico: egli è infatti l'unico che sembra avere una possibilità di liberarsi come si può notare dal fatto che è quasi riuscito a sciogliere il nodo delle spire del serpente dal suo polpaccio sinistro. Ma la sua speranza svanisce appena scorge l'espressione tremendamente addolorata e sconvolta del padre. Laocoonte è forse il capolavoro dentro il capolavoro di quest'opera. Egli è infatti ritratto in un momento di dolore: è stato morso dal serpente. La particolarità della figura è che è possibile quasi vedere il veleno passare lungo le vene che emergono dalla pelle con incredibile realismo mentre il sacerdote di Poseidone tenta di controllare il suo dolore, invano, come mostra la sua innaturale torsione del busto ma soprattutto il suo volto: è sconvolto, e sembra quasi di sentirlo urlare, come se il suo dolore potesse essere così forte da attraversare le pieghe del tempo e arrivare alle nostre orecchie immutato nelle sue angosciose note. E infatti vi è come un crescendo di pathos all'interno dell'opera: sembra esserci infatti una linea che comincia dal piede sinistro del figlio ancora vivo e che culmina nel movimento brusco ed energico del braccio destro di Laocoonte il cui gesto sembra quasi un ultimo tentativo di resistenza ad un destino crudele, ingiusto e spietatamente incontrastabile.

Questa è forse la scultura più importante tra tutte quelle arrivate sino a noi. Quest'opera è la prova delle capacità straordinarie di tre artisti che hanno voluto immortalare come in una fotografia un momento carico di pathos e tragicità. Una bravura incredibile che lasciò lo stesso Michelangelo esterrefatto tanto che la prese come esempio per le proprie opere in
alcuni caratteri e movimenti , come ad esempio la torsione di Laocoonte che Michelangelo utilizzò sui personaggi di tutte le sue opere.


domenica 14 gennaio 2018

LA RINASCITA DELL'ARTE: "LA VOLTA DELLA CAPPELLA SISTINA" DI MICHELANGELO BUONARROTI


La volta della Cappella Sistina è oggi uno dei capolavori artistici di tutti i tempi. Quest'opera è il frutto del genio travagliato di uno dei più grandi artisti che si sono susseguiti sin dai tempi più antichi, un uomo che utilizzava l'arte come mezzo per esprimere le proprie emozioni e le proprie convinzioni, un uomo che ha cambiato per sempre il volto dell'arte.

La commissione
Nei primi anni del Cinquecento Giulio II, che era allora il Papa, decise di intraprendere la ristrutturazione della volta della Cappella Sistina. Essa infatti, affrescata precedentemente con un semplice cielo stellato, aveva subito dei danni sia alle pitture sia alla struttura tanto che si formarono anche alcune crepe. Questo lavoro fu affidato a Michelangelo Buonarroti. In quel periodo egli stava, però, lavorando alla costruzione del monumento funebre dello stesso Giulio II. Questo nuovo lavoro affidatogli dal Papa provoco le sue ire poiché egli stesso affermava che preferiva l'arte della scultura e dell'architettura piuttosto che l'arte della pittura. Nonostante questo si cimentò immediatamente nell'impresa. Dopo poco poco tempo gli fu permesso di ampliare la superficie da dipingere fino a raggiungere i 500 mq.

La lavorazione
Dopo un primo periodo durante il quale Michelangelo si servì dell'aiuto di alcuni allievi, l'avanzamento fino ad allora costante dell'opera subì una brusca battuta d'arresto. Quando furono ripresi i lavori alla volta, l'artista decise di continuare il lavoro da solo. Si fece così montare le impalcature e passò quattro anni chiuso nella Cappella Sistina con poche fiaccole per permettergli di lavorare anche al buio. In questo modo si recò gravi danni alla vista, ma riuscì a mantenere un'andatura costante nella stesura degli affreschi.

Gli affreschi della volta
Le prime figure ad essere rappresentate nella volta sono 5 Sibille e 7 Profeti seduti su dei troni di marmo che sorreggono due pilastrini su cui vi sono rappresentati i bassorilievi di due putti. questi pilastri sorreggono una struttura architettonica dentro la quale sono rappresentate nove scene bibliche tratte dal libro della Genesi: Separazione della Luce dalle Tenebre, Creazione degli Astri Celesti e delle Piante, Separazione della Terra dalle Acque, Creazione di Adamo, Creazione di Eva, Peccato Originale e Cacciata dal Giardino dell'Eden, Ubriachezza e Derisione di Noè, Diluvio Universale, Sacrificio di Noè. Sui lati corti delle scene con la cornice più piccola sono rappresentate coppie di Ignudi, Angeli privi di ali o Geni classici, che reggono foglie di quercia e pigne, simboli delle casate di Sisto IV e di Giulio II. Tra ogni coppia di troni vi sono delle lunette sopra le finestre e nelle vele d'imposta della volta dove sono rappresentati gli antenati di Cristo secondo il Vangelo di Matteo. Ai quattro angoli della volta rettangolare vi sono invece quattro strutture semicircolari al cui interno vi sono rappresentati quattro miracoli biblici descritti nel Libro dei Re: La Punizione di Aman, Davide e Golia, Giuditta e Oloferne, Il Serpente di Bronzo. 

La simbologia 

Tutta la composizione è incentrata sul rapporto tra Antico e Nuovo Testamento. Essa infatti cerca di sintetizzare il lungo cammino dell'Umanità da Adamo fino ad ora. Possiamo infatti notare il richiamo all'Antico Testamento nelle Storie della Genesi, e il richiamo al Nuovo Testamento nelle lunette e nelle vele d'imposta della volta con gli antenati di Cristo. Il tutto continua con un'altra opera di Michelangelo presente nella Cappella Sistina: il Giudizio Universale che simboleggia la conclusione del viaggio di ogni cristiano. Ma troviamo anche un altro rapporto oltre a quello tra i Libri della Bibbia: quello tra Cristianesimo e Paganesimo. Michelangelo utilizza molto nelle sue opere i canoni classici ed è affascinato da questo mondo già allora irrimediabilmente lontano ma così vicino alla perfezione. Simbolo della conciliazione tra arte pagana e arte cristiana sono le figure dei Profeti per la prima, le Sibille per la seconda. Il tema della classicità pagana è anche evidenziato dalla presenza degli Ignudi, personaggi della mitologia classica, e dalla michelangiolesca esaltazione della nudità umana, sia femminile sia maschile, che centralizza l'importanza dell'uomo secondo la filosofia umanistica. Ma è possibile trovare un altro tema nella composizione, sempre identificabile nelle figure degli Ignudi: la concezione neoplatonica dell'uomo, che considera l'uomo un essere in continua pena che cerca costantemente di liberare la propria anima dalla prigione del corpo.

Lo stile
Durante la stesura della Cappella Sistina Michelangelo ebbe una graduale ma evidente evoluzione stilistica che però non ha intaccato minimamente la bellezza dell'opera. Possiamo notare una differenza stilistica già a partire dai Profeti e dalle Sibille. Infatti alcuni di essi presentano dimensioni più contenute dove la figura più importante è affiancata da altre figure minori in dimensioni e importanza. Altre invece occupano tutto il trono giganteggiando solitari. Anche nelle stesse Storie della Genesi troviamo questo cambiamento stilistico. Nel Sacrificio di Noè, Diluvio Universale e Ubriachezza e Derisione di Noè, sono rappresentate innumerevoli figure di dimensioni ridotte e vi è una particolare e definita rappresentazione del paesaggio. Nelle scene seguenti (Creazione di Eva, Creazione di Adamo) le figure sono, invece, più grandi ed espressive. Le loro emozioni sono infatti rese palpabili e concrete da gesti enfatizzanti dei personaggi. Le ultime tre scene rappresentano il culmine di questa evoluzione stilistica. La Separazione della Terra dalle Acque, Creazione degli Astri Celesti e delle Piante, Separazione della Luce dalle Tenebre sono caratterizzate infatti dalla presenza di una sola figura: Dio. Egli infatti padroneggia tutta la scena e nella seconda scena è addirittura ritratto due volte, in una delle quali rivolge all'osservatore la schiena, Posizione del tutto innovativa, mai proposta prima.

La volta della Cappella Sistina è forse l'opera più significativa e importante di Michelangelo che, nonostante la sua preferenza verso la scultura, è riuscito a creare con le sole mani o come egli stesso affermava 'con il cervello' un'opera che a distanza di secoli dal contesto storico in cui è nata, riesce ancora a stupire e a meravigliare i milioni di turisti che ogni anno da tutto il mondo entrano in quella sala e si chiedono: 'Come ha potuto un uomo fare questo?'.